Il solo pensiero di dover pensare

Posted By on Mar 19, 2017


Premessa

 

Destinatario di questo scritto non è l’intellettuale che s’intende di filosofia, né chi più semplicemente sa bene come osservare l’ambiente che lo circonda interpretandolo in modo complesso. Il possessore di tali caratteristiche potrà trarre da questa lettura poco meno che qualche sorriso. Diverso è invece il caso di chi, in tutto e per tutto profano, si nutre inoltre di un pregiudizio negativo nei confronti della disciplina, tale da fargli rinnegare ogni valenza pratica quotidiana dello studio di essa e relegare la stessa nell’ambito delle sciocchezze di chi non sa cos’è la “vera vita”. A questi è indirizzato il mio lavoro.

Scopo di esso è non certo trasmettere nozioni di notevole difficoltà, cosa nel mio caso impossibile, ma spingere ad immettersi sulla via della ricerca personale e, preliminarmente, ad eliminare in chi vorrà prestare attenzione il pregiudizio dell’inutilità della filosofia nella “vita reale”. La filosofia non solo è applicabile alla sfera quotidiana, ma propone un modo di leggere la realtà profondamente interessante e sostituibile in tutto e per tutto alle opinioni comuni, provvedendo col suo solo porsi alla loro distruzione o ad una loro accettazione critica (a mio giudizio sempre preferibile alla dogmatica imposizione). Non una questione di contenuti, dunque, ma di forma.

 

Personaggi

Antonino, pensionato (Elio)

Mariuccio, pensionato (Vito)

Narratore (Adriana)

Un gelataio (Alessandro)

 

Ma tu che te crede,

che a vita è accussì?

Nu passettin’ avante

e un’arrere?

A vita, bello mio, è…

 

NAR.              In un pomeriggio d’agosto insolitamente silenzioso, due signori passeggiavano fianco a fianco su una stradina costiera. Si erano fatte press’a poco le quattro, in lontananza si vide alzare una saracinesca: era l’ora di apertura della gelateria sul lungomare. Il proprietario, un omino grassoccio con dei baffetti arrotondati alle estremità, in evidente sforzo fisico per l’apertura della serranda ma in sé orgoglioso del traguardo raggiunto, si apprestava a scomparire nei meandri della zona frigorifero. Sarà stato forse il caldo torrido, fatto sta che i due pensionati furono prepotentemente attratti dall’idea di un cono gelato. Avvicinatisi con fare discreto e silenzioso (causa diabete), davanti al bancone si presentarono ringiovaniti di sessant’anni, come due bambini per la prima volta alle giostre. Ma il più anziano, al momento di ordinare il gusto del piacevole sfizio parve in difficoltà. E l’apparenza non ingannava.

 

ANT.              Un bel problema, proprio un bel problema. Aveva ragione Kierkegaard, non c’è cosa peggiore di quando si deve scegliere.

MAR.             Antonì, perdonami ma non ti seguo. Ch’è succiesso? Di chi stiamo parlando?

ANT.              Eh? No niente, pensavo…

MAR.             Ecco. E vorrebbe vossignoria rendermi partecipe? C’è qualche difficoltà? La bolletta l’hai pagata? T’hanno staccato un’altra volta il telefono? Lo sai che…

ANT.              Ma sì ma sì. Mariuccio, che ti devo dire? Ogni tanto i filosofi mi tornano in mente e mi perdo, come davanti alla scelta di questo gelato.

MAR.             N’ata vota un filosofo! Ma allora è una fissazione che tieni!

ANT.              Una vita difficile, povero ragazzo! Lui sì che capiva cosa significa essere indecisi. Un esempio a cui chiedere aiuto…

MAR.             Io non capisco perchè mai vai ancora appresso a gente che non sa quel che vuole fare nella vita. Antonino sono anni che te lo dico: lasciali perdere, chell’è brutta gente che non tiene niente da fare.

ANT.              Ohè, ci abbiamo il superuomo! Adesso mi vorresti dire che tu non ti troveresti mai in una situazione come la sua.

MAR.             Ma certo che no! Io dico, si facesse i fatti propri. Se lui non era capace di decidere, perchè deve valere pure per me? Ti faccio un esempio: se io mo’ volessi un bel cono alla nocciola, lo prenderei senza tante storie, tanto più che a me la nocciola piace assai. E soprattutto de-fi-ni-ti-va-mente, alla faccia di Kierkegaard! Nun’ è overo, cameriere? Conferma?

GEL.               I’ nun so’ cammariere, so’ ‘o principale…

MAR.             Eh vabbè adesso non sottilizziamo, non ci perdiamo in quisquilie.

ANT.              Ma tu sei proprio sicuro che è così semplice?

MAR.             Sì.

ANT.              Ma sicuro, sicuro?

MAR.             Ti dico sì.

ANT.              Ah, bene! Mi piacciono le persone piene di certezze. Ma senti un po’… oltre alla nocciola, che gusti ti piacciono?

MAR.             (col tono di chi sta per fare un lungo elenco) Ehhh, cioccolato, fragola, pistacchio, vaniglia, pesca, limone, “puffo”…

ANT.              Per carità! Fermi tutti! Che se dobbiamo fare tutto l’elenco finiamo alle calende greche. E poi o’ gusto “puffo”, un uomo di settant’anni… Vabe, ora rispondimi: ti piacciono tutti allo stesso modo? O ne preferisci qualcuno?

MAR.             Mah ti dirò… li mangerei tutti, eccetto la qui presente stracciatella. Non sarà mica un dramma!

ANT.              Ma quale dramma! E’ che mi sorge un dubbio…

MAR.             Che?

ANT.              Un dubbio…

MAR.             Giesù Giesù!

ANT.              Ascolta un attimo: ammettiamo che qui davanti a noi ci siano tutti e soli i tuoi gusti preferiti.  Facciamo pure finta che in questo momento qui davanti a noi non ci sia questo simpatico cameriere…

GEL.               (affaticato ed annoiato dalla discussione) So’ ‘o principale…

ANT.              La prego signore, non ci distraiamo. Dicevo, non abbiamo questa bella presenza ma pensa tu, al bancone chi ci lavora? Eh?

MAR.             (con tono esasperato) Chi ci lavora?

ANT.              La donna dei tuoi sogni! Ah, quant’è bella! Ah, quant’è dolce!

MAR.             Fosse ‘a Madonna!

ANT.              E ti dirò di più: la tua bella fanciulla, in un momento enigmatico (ma questo mistero femminile non è destinato a svelarsi) decide di offrirti un cono. Mo’ parliamoci chiaro, lei il cono non lo paga, perciò non puoi nemmeno fare il cavaliere e offrirglielo, che ti prenderebbe per fesso… capisci bene che non puoi, e dico non puoi rifiutare un’offerta così allettante, col rischio pure che lei si innamora di te.

MAR.             Eh beh… no

ANT.              Insomma, guarda che bella situazione in cui ti sei andato a cacciare! Mannagg’ ! Il gelato te lo devi prendere, non hai alternative; ma il problema è…

MAR.             E’…?

ANT.              Che gusto prendi, tra i tuoi preferiti?

MAR.             Uno vale l’altro, al massimo domani ripasso.

ANT.              E se mentre tu stai lì pronto a scegliere il tuo gusto preferito, mangiandoti con gli occhi la commessa e pregustando un dolce bacio al chiaro di luna, spuntasse accanto a te un brutto ceffo? Solo a guardarlo mette paura e tenta di precederti nell’ordinare il gelato, facendo così perdere l’ispirazione alla bella commessa.

MAR.             Ahi

ANT.              Eheh, mo’ voglio vedere che fai. Prendi una mazziata o perdi la tua bella?

MAR.             Beh… forse… ehm… se… no… insomma non lo so, ci devo pensare!

ANT.              Basta così. Amico mio, mi dispiace tanto ma è uno a zero e palla al centro per il filosofo.

MAR.             Nunn’ agg’ capito. Vulisse proprio vedè che lezione mi deve dare uno morto più di cento anni fa, per di più filosofo.

ANT.              Arrivo subito. Vedi, quando tu ti svegli al mattino alle cinque e decidi di fare qualcosa (che poi che vulisse fa’ ‘a matina ‘e ccinche), innanzitutto poni a te stesso un fine, oltre che un mezzo per raggiungerlo. Quando ad esempio volendoti sgranchire le gambe decidi di fare un giretto in bicicletta, pedalare diventa un mezzo, ovvero ciò tramite cui ottieni che le tue gambe si sgranchiscano.

MAR.             Ci sono

ANT.              E ti pare anche che tu pedali in vista di sgranchirti le gambe?

MAR.             Eh certo

ANT.              Dunque questo è il tuo fine. Mi segui?

MAR.             Sì

ANT.              Oh, adesso veniamo al gelato. Quando tu ti sei trovato davanti alla commessa dallo sguardo ammiccante, volevi raggiungerla nel talamo, non è così?

MAR.             Certo, e Afrodite ci dava pure la benedizione!

ANT.              Ecco. Come vedi, la commessa (che detto fra noi nunn’è cosa pe’ te) era il tuo fine. Un fine in vista del quale ti apprestavi a scegliere il gusto del gelato, un fine così importante da non potervi rinunciare… da porre un aut-aut tra i mezzi

MAR.             Che?

ANT.              Un aut-aut, una situazione in cui si può andare solo da una parte o dall’altra, senza una terza possibilità

MAR.             In effetti hai ragione

ANT.              In realtà, amico mio, gli aut-aut o Enten-Eller, come Kierkegaard intitolò il suo capolavoro, non sono tutti uguali. Innanzitutto per la posta in gioco e poi per il tipo di opposizione tra i due termini: infatti se sono tra loro contraddittori, ovvero l’uno la negazione dell’altro, non si può fuggire. Ad esempio, tra parlare e non parlare non ci sono alternative

MAR.             Eh ci credo!

ANT.              Tanto che se uno vuole fuggire dalla situazione e sta zitto, per l’appunto compie una delle due.

MAR.             Naturale!

ANT.              Mentre se c’è una terza possibilità che è la fuga, innanzitutto non si può fuggire all’infinito e talvolta non è possibile farlo poiché si rinuncerebbe a qualcosa di molto importante. Per così dire, nel primo caso è oggettivamente impossibile trovare una terza via, nel secondo (ed è il tuo) è soggettivamente impossibile farlo. Ma suvvia, torniamo a noi e al tuo amore irrinunciabile, beato te!

MAR.             Vai, ci sono

ANT.              O un gusto, o un altro. Però potevi scegliere tranquillamente, visto che qualsiasi cosa avrebbe accontentato la bella e il gelato ti piace. In effetti, qui ti si poneva anche un conflitto tra finalità.

 

MAR.             (incuriosito) Cioè?

ANT.              Potevi gustare il pistacchio o il cioccolato. Chiaramente sono due scopi aggiunti al primo e meno importanti della bella, ma pur sempre in conflitto tra loro, perchè tutto sommato equivalenti; e poi, come dicevo, sei stato indeciso tra i mezzi, cioè chiedere alla commessa il pistacchio o il cioccolato. A un certo punto, sicuro di perderci poco (era un aut-aut di scarso valore, “al massimo domani ripasso”, hai detto), stavi già pronunciando la parola magica quando… miseriaccia! Spunta il tizio dall’ aspetto sinistro.

 

MAR.             (oramai preso dal ritmo incalzante della discussione)E qui la cosa si complica, perchè c’era di nuovo un conflitto tra i fini, ma stavolta c’era parecchio da perdere…

ANT.              Bravo! Anche stavolta i premi in palio erano parimenti importanti, ma il guaio è che lo erano entrambi parecchio.

MAR.             Già… e io non sapevo proprio che fare. Eppure qualcosa la dovevo fare per forza.

ANT.              Avresti causato l’ira di entrambi non facendo nulla (che detto tra noi è già fare qualcosa)! E pensa che figuraccia!

MAR.             Già.

ANT.              Insomma, come vedi Kierkegaard ha solamente vissuto quel che viviamo tutti, solo ci ha riflettuto sopra, ha usato il suo ingegno. Si è comportato da uomo libero, che non ascolta oratori di alcun genere se non per ragionarci sopra e semmai essere consapevolmente d’accordo con loro alla fine.

MAR.             E poi? Ha trovato la soluzione?

ANT.              Sì, anche se con qualche difficoltà ed a caro prezzo. Se tu ti fossi assunto una responsabilità, poniamo che avessi optato per la bella, alla fine ti saresti trovato con un grosso macigno sulle spalle: la rabbia dell’energumeno e forse pure qualche bernoccolo. Agire responsabilmente, dice il nostro filosofo, porta ad una vita triste, quanto quella di chi non sa agire mai. Triste è il serissimo giudice Wilhelm! E l’irresponsabile Don Giovanni non sta messo meglio! Alla fine, da piccolo puntino in un universo infinito nel tempo e nello spazio quale ogni essere umano è, ha optato per un personalissimo rapporto con Dio. E mo’, col suo Santo aiuto, cameriere per me un “pino pinguino”!

ElioTratto da “Note di copertina”, programma radio in onda ogni lunedì alle 22 su ww.radioeco.it